La
Biodiversità
del
Parco Nazionale del Pollino
Il
Parco Nazionale del Pollino insieme ai Parchi Nazionali
dell'Appennino Lucano - Val d'Agri - Lagonegrese e del Cilento –
Vallo di Diano è fra la 15
aree italiane testimoni della
Biodiversità
che era presente in Italia e dove è ancora possibile farla
comprendere, studiare e godere. Ciò è avvenuto anche perché in
questo parco come negli altri due citati è ancora presente la
Lontra.
I
nomi di tante località del
Massiccio del Pollino e dei Monti dell'Orsomarso ci testimoniano
la presenza di determinati animali sino a pochi secoli fa:
la Valle dell'Orso sotto la parete Nord Est di Serra di Crispo, Tuppo
Vuturo (Tuppo dell'Avvoltoio), Timpa della Falconara, Monte
Sparviere, Fiume Peschiera, la Fossa del Lupo a circa un terzo in
basso della parete Nord Nord-Ovest di Serra Dolcedorme.
GLI
ANIMALI
I
Lupi sono stati sempre presenti sul Pollino, ma 30 -40 anni fa erano
pochissimi e per la mancanza di prede si alimentavano alle
discariche dei paesi e, d'estate, dovevano persino accontentarsi di
cacciare grilli. Grazie alla sua salvaguardia, alla sensibile
diminuzione dell'attività agricola e zootecnica e al consistente
aumento dei cinghiali i lupi sono notevolmente aumentati di numero,
vivono in branchi e sono presenti lungo quasi tutto l'Appennino.
Naturalmente
nel Parco vivono e sono
salvaguardati anche gli altri animali
caratteristici dell'Appennino Meridionale. L'Istrice, il Gatto
selvatico, il Capriolo, il Driomio meridionale, il Moscardino, il
Quercino, lo Scoiattolo meridionale, la Lepre, il Tasso, la Donnola,
la Faina. Questi ed altri sono i mammiferi che lasciano i segni
della loro presenza facilmente individuabili se si osserva con
attenzione il territorio ove vivono ed è possibile a volte vederli
di giorno e spesso abbagliarli involontariamente coi fari della
macchine lungo le strade dopo il tramonto e prima dell'alba.
Sono tantissime le specie di uccelli che nidificano o sono di passaggio lungo le valli o sui monti del Parco. Non sempre, ma spesso e per periodi più o meno lunghi, sopra gli ex seminativi e i pascoli dell'alta valle del Raganello è possibile vedere volteggiare maestosa l'Aquila Reale e nei pressi della cappellina di Sant'Anna di Timpa San Lorenzo è possibile anche sentire le grida degli aquilotti che chiamano i loro genitori dai nidi o imparano a volare e a farsi trasportare molto in alto nel cielo dalle correnti ascensionali. Volano, scrutano la superficie per individuare le loro prede e difendono le loro zone di limpidissimo cielo anche l'Astore, lo Sparviero, il Corvo imperiale, la Poiana, i Gheppi, il Falco Pellegrino, il Nibbio Reale e i Grifoni reimmessi dal Parco negli anni scorsi e nel giugno del 2010. Sulle barriere dei ponti che attraversano torrenti e fiumare tante Cornacchie grige. Intorno ai paesi Gazze ladre, nei boschi il Picchio verde e il Picchio Nero quest'ultimo, dalle popolazioni locali, è chiamato Becco di ferro per il tambureggiare che si sente nei boschi ove vive e per i grandi fori che riesce a compiere in brevissimo tempo. Prima del tramonto e di notte la Civetta, il Barbagianni, l'Allocco e il Gufo Reale ci fanno conoscere la loro presenza coi loro richiami e il volare sentito chiaramente ed inaspettato.
Dei
rettili è necessario
citare il Cervone Italiano che raggiunge persino i 250 centimetri di
lunghezza, la Biscia dal collare, la Vipera comune, la Testugine
palustre, le lucertole, i Ramarri e i Cechi nelle zone calde e di
bassa quota.
Degli
anfibi sono importanti: la
Salamandrina dagli occhiali che è un indicatore biologico
specialmente per quanto riguarda la salubrità delle acque ove
vengono deposte le uova, la Rana italica, il Tritone italiano e il
crestato e l'Ululone dal ventre giallo
I
pesci che vivono nei fiumi
del Parco sono: la Trota fario, il Cavedano, il Barbo, le Anguille e
le Carpe.
LE
PIANTE
Il
simbolo del Parco Nazionale del Pollino è un albero. E' il
Pino Loricato, vive anche
più di mille anni, il suo tronco per crescere di un solo centimetro
di raggio impiega da 3 a 15-20 anni quindi
ha registrato nel suo tronco
quello che è stato il clima dei territori ove vive da mille anni a
questa parte, trovare la chiave di lettura di queste registrazioni
non è difficile perché, grazie alle stazioni meteo presenti in
alcuni comuni da più di un secolo, conosciamo il clima di
quest'ultimo periodo. Durante
le glaciazioni era diffuso
non solo nella penisola Balcanica ma anche in quasi tutto il Sud
Italia. Oggi è assediato
dal faggio, non soccombe
perché le sue foglie fitte e robuste difendono le sue gemme dai
granuli di ghiaccio trasportate dal vento che nel mese di maggio
recidono sistematicamente i nuovi germogli del faggio. In passato
anche gli ovini e i caprini costringevano le pianti di faggio a
rimanere cespugli.
Il
Pino Loricato vive: poco sopra i 500 metri di altitudine nella Valle
dell'Argentino e, in numero notevolmente maggiore, da 1500 ai 2150
metri di altitudine. Vive in zone ove il faggio non riesce a vivere,
in punti impervi, lungo le creste, sulle pareti a pico, si innalza
verso il cielo anche per 40 metri spesso direttamente dalla dura
roccia calcarea dolomitica. Il suo vivere in popolamenti molto
aperti, il suo portamento, il vento, la neve, i fulmini lo hanno reso
l'albero più fotogenico e
più fotografato d'Italia.
Una
premessa necessaria: per quasi cento anni giganteschi
tagli di bosco hanno
interessato anche l'Appennino Meridionale. Sul Pollino hanno operato
tante imprese boschive e, fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale,
anche la più grande impresa boschiva allora operante in Italia: la
“Rue Pink”. Per trasportare il legname sono state costruite
centinaia di Km di teleferiche, tante strade di accesso, alcuni
grandi spianamenti in corrispondenza dell'arrivo e delle partenze di
queste infrastrutture, decine di migliaia di piccole piazzuole per
trasformare i rami in carbone; persino una ferrovia
che iniziava quasi dai
piedi della parete Ovest di Serra di Crispo e, dopo un primo Km di
lieve salita, con una pendenza costante del 3% intorno ai 1600 m
s.l.m. giungeva ai piedi della cresta Est di Serra delle Ciavole da
dove una gigantesca
teleferica saliva ad Ovest
delle due cime della Manfriana per attraversare poi tutta la zona
alta della piana di Sibari e, dopo una lunghissima discesa, scaricare
il legname alla stazione delle Ferrovie dello Stato di Spezzano
Albanese. Sino lì il trasporto del legname è avvenuto quasi
completamente utilizzando la forza di gravità.
Nel
Parco Nazionale del Pollino sono circa 1700 le specie vegetali
censite, in Italia dovrebbero essere circa 6000. Gli endemismi sono
molto pochi. Ciò che è
inimmaginabile,
stupendamente e
gradevolmente sconvolgente è la straordinaria variabilità dei
paesaggi che la geologia,
il clima, le molteplici forme di vita e le diversità delle culture
umane hanno realizzato su questi monti e in queste valli.
La
vegetazione del Parco può essere schematizzata in 4 fasce. Nelle
zone di bassa quota c'è la Fascia
Mediterranea composta dalla
Macchia Mediterranea bassa ed alta. La Macchia Mediterranea bassa è
caratterizzata da circa 30 specie arbustive: Euforbia arborea,
Ginestre, Cisti, Rosmarino, Erica, Alloro, Corbezzolo ed altre.
Nella Macchia Mediterranea alta sono presenti pianti di Leccio, di
Ginepro, di Lentisco, di Roverella, di Acero minore quasi sempre
associate a diverse specie di pianti rampicanti. Queste macchie
possono raggiungere anche i 6 m di altezza. Tutto questo insieme,
molto vario ed estremamente complesso, specialmente per quanto
riguarda le forme vegetali più semplici: erbe, fiori, muschi crea
un microambiente che da
riparo e nutrimento a innumerevoli insetti, anfibi ed altri animali
in piccola parte già accennati all'inizio.
Per
dare un esempio della straordinaria variabilità, sotto tutti gli
aspetti, del territorio del Parco alcune informazioni sul Leccio.
Solo nella stretta ed
impervia Valle del fiume Argentino è ancora presente un piccolo
bosco di lecci ove queste pianti raggiungono anche i 18 m di altezza,
per la maggior parte vi sono macchie di Leccio. In situazioni
particolari troviamo pianti di leccio molto al di sopra della fascia
mediterranea come sulla Timpa di San Lorenzo, di Cassano e di Porace
e persino in cima a un lastrone di ghiaia di cuscini di lava
cementata da calcite sotto il livello del mare e che adesso si trova
di fronte ai tanti cuscini di lava di Timpa delle Murge a 1300 m
s.l.m. Ai confini occidentali del Parco (preso S. Domenica di Talao)
il Leccio si mischia e in parte viene sostituito dalla Sughera che
necessita di ambienti più umidi.
La
fascia Sopramediterranea
ha come quota di riferimento dai 700 ai 1100 m. s.l.m. ed è
caratterizzata da una serie di boschi denominati col nome delle
specie dominanti:
- Boschi a Roverella, nelle zone più basse e ben esposte al sole con l'Asparago selvatico, l'Erica arborea e il Camedrio siciliano nel sottobosco;
- Boschi a Cerro nelle zone più alte e ad occidente, nel sottobosco troviamo non solo specie che amano il caldo ma anche specie che amano le medie temperature quali:la Digitale appenninica, il Pisello veneziano, l'Erba limone;
- Boschi a Farnetto per lo più misti con Roverella e Cerri eccetto che nei pressi di Plataci ove è nettamente dominante il Farnetto;
- Boschi misti in cui oltre alle querce vi sono associate e, a volte, risultano anche dominanti: l'Acero d'Ungheria, l'Orniello, l'Ontano napoletano, il Castagno, il Carpino nero e bianco e l'Agrifoglio;
- Boschi degradati principalmente per il taglio eccessivo che potremmo chiamare anche arbusteti in cui con fatica sopravvivono esemplari dei vecchi boschi con: Prugne, Meli e Peri selvatici, Rose canine, Biancospino comune e la Ginestra dei carbonai nelle zone più basse e la Ginestra odorosa in quelle più alte.
Nelle
aree asciutte e assolate di questi boschi e nei terreni poveri e
rocciosi, non riuscendo a crescerci gli alberi troviamo, oltre ad
alcune specie della Fascia Mediterranea anche: il Trifoglio giallo
delle sabbie, il Camedrio montano, la Radichiella laziale, la Lavanda
e la Salvia officinale, il Timo bratteato e il Timo serpillo che
oltre a vivere in terreni poverissimi, vive dalla pianura alle cime
più alte del Parco.
La
Fascia Montana da 1100
sino ai 2000 metri di altitudine è caratterizzata da grandi boschi
di Faggio. Nei boschi esposti a Nord specialmente nel versante lucano
del Parco, in passato, il Faggio
era associato all'Abete bianco..
Oggi questa associazione
è presente principalmente nei boschi di alta quota di Terranova di
Pollino, e cosa veramente eccezionale, si trova anche nel Bosco
Vaccarizzo
a 700 metri di quota nel comune di Carbone. In situazioni
particolari, zone molto fresche, il faggio vive a quote ancora più
basse. Nelle faggete esposte a Sud e sotto i 1400 m il Faggio vive
con l'Agrifoglio. Nelle grandi piazzuole dei disboscamenti e nelle
zone più pietrose è stato sostituito con Sorbi montani e degli
uccellatori e Maggiociondoli. Nei boschi Cugno dell'Acero e Cugno
Cumone di Terranova di Pollino fra i Faggi e gli Abeti Bianchi vi
sono piccoli nuclei di Pioppi tremoli e pianti di Tasso.
E'
certamente uno straordinario primato forestale ciò che è possibile
osservare intorno a Lagoforano nel territorio dei comuni di Terranova
di Pollino, Alessandria del Carretto e Plataci. Nel
raggio di un Km vivono i
resti dei boschi di Vallo Nero, Francomano, Vallone della Tupara e di
Lagoforano, Qui sei tipi di Aceri: l'opalo, il minore, il campestre,
il lobato, lo pseudoplatano e il platanoide, quasi tutti i tipi di
Querce, molti degli alberi citati in precedenza, Faggi e, nella
zona alta di Vallo Nero, confinante a tutto questo
vivono
anche Abeti bianchi!
La
Fascia Altomontana solo
indicativamente dai 2000 metri di quota alle cime più alte. Questa
fascia ha la sua maggiore espressione nei
Piani di Pollino. Una
grandissima conca che nelle Glaciazioni precedenti le due ultime, con
grande probabilità, era il bacino collettore del ghiacciaio che da
Serra delle Ciavole, Dolcedorme e monte Pollino copriva la zona più
alta della Valle del Frido. Questa grande conca è stata un pochino
approfondita da fenomeni carsici e molto riempita dai detriti scesi
da questi tre rilievi.
Sono
3 i Piani del Pollino: la
Piana del Pollino a una quota di 1950 m, il Piano Toscano e il Piano
di Pollino con il punto più basso a 1774 m. ove l'inghiottitoio ai
piedi della parete Ovest-Nordovest del Dolcedorme succhia tutta
l'acqua superficiale che vi giunge, La
Piana del Pollino è
delimitata dai due piani sottostanti da un interessante filare non
continuo di Pini Loricati su tratti molto ripidi, seguiti poi da
piccoli avvallamenti e collinette che degradano dolcemente verso il
basso. Il Piano Toscano e
il Piano di Pollino sono
separati da collinette formate da detriti glaciali e alcuni massi
erratici. Nel Piano di
Pollino convergono alcuni
canali di deflusso delle acque superficiali che hanno tagliato in più
punti le due ultime morene frontali dei due ultimi ghiacciai. Il
suolo trasportato da questi canali e la vegetazione compatta e ricca,
pian piano ricoprirà queste due serie di archi di detriti glaciali
perfettamente paralleli e di fronte alla parete
Ovest-Nordovest
del Dolcedorme. Su questa
parete sono ancora evidenti le forme tipiche di un ghiacciaio:
addossata alla parte non ricoperta da vegetazione arborea e ove i
faggi hanno portamento arbustivo vi era il nevaio, quasi al centro
della Fossa del lupo: l'ombelico del ghiacciaio e il bordo di questa
fossa (adesso ricoperto da una folta faggeta) era la soglia glaciale.
Questa parete è attraversata, in diagonale, da uno spettacolare
sentiero che fra piccoli e
fitti faggi ci permette di osservare dall'alto i Piani di Pollino e
ciò che li circonda.
I
Piani di Pollino sono circondati:
dalla parete Nord-Est del Monte Pollino (2248 m.) con una
evidentissima nicchia glaciale e, alla base, una fittissima
faggetina, dalla parete del Dolcedorme (2267 m.) di cui si è detto e
dalla parete Sud-Ovest ed Ovest di Serra delle Ciavole (2127 m.) con
tanti Pini Loricati, piccoli, millenari e secchi; a fianco a questa
verso Nord la Grande Porta del Pollino e Serra
di Crispo (2153 m.) che per
le rocce calcaree scolpite dagli agenti fisici e biologici, le
innumerevoli erbe, i tantissimi fiori dai colori e dalle forme
straordinarie, i panorami mozzafiato e i Pini Loricati alcuni decenni
fa è stata rinominata il
Giardino degli dei, è il
massimo di ciò che poteva capitare sui Monti
di Apollo!
Ho
descritto un pò i Piani di Pollino
principalmente per far intuire quanta biodiversità floristica,
faunistica ed antropica esista nel Pollino. Le erbe e i fiori
presenti in questa fascia
altomontana sono
tantissime. Convivono, anche a pochissimi metri di distanza:
popolamenti altomontani appenninici, essenze mediterranee, specie
sopravvissute ai periodi glaciali ed erbe seminate con le feci dagli
animali che ogni inizio d'estate sono venuti a pascolare su questi
monti. “Erbe” che amano l'acqua con erbe che riescono a vivere in
posti incredibilmente aridi e freschi o caldissimi a seconda se è
pomeriggio o mattino presto come la Linajola purpurea, il Dripide
comune e il Laserpizio erba nocitola che vivono nei ghiaioni come
quelli ai piedi della nicchia glaciale del Pollino e
della
cresta Est di Serra di Crispo. Erbe-fiori che amano il suolo umido e
ricco di umus come l'Erba vaniglia, l'Achillea millefoglie, il
Trfoglio pratense, la Genziana maggiore, l'Asfodelo montano del
Pollino e molte altre ed erbe-fiori che riescono a vivere nelle zone
più inospitali come sono quasi tutte le creste, ma anche singoli
massi calcarei magari in mezzo a un ricco prato e pendii
particolarmente scoscesi ove vivono: il Semprevivo dei tetti, la
Campanula del Pollino e la napoletana, la Cinquefoglie penzula ed
altre ancora.
L'unico
Lupo visto da me, l'ho
visto in questi Piani, acchiappava i grilli che saltavano dall'erba
che lui muoveva con il muso.
La
Biodiversità nel Parco
determinata
dalle attività umane
Tanti
uomini e donne sono venuti nel corso degli ultimi millenni, degli
ultimi secoli e degli ultimi anni (purtroppo molti giovani sono
costretti a partire!?) a vivere sulle pendici e lungo le valli dei
monti del Parco. Gruppi di cacciatori-raccoglitori che hanno
frequentato il Riparo del Romito nel comune di Papasidero da 20.000 a
10.000 anni fa, proprio durante le ultime glaciazioni, hanno
inciso un bovide e parte
del suo piccolo su un lastrone di roccia. I
Greci 2.500 anni fa
dedicarono questi monti ad
Apollo dio della luce,
della medicina, della caccia e di tutte le cose belle perché i monti
del Parco li avevano salutarmente sconvolti: per le cime splendenti
di neve in inverno e primavera, per le tantissime erbe medicinali di
cui il Pollino era ed è ricchissimo, per il gran numero di animali
selvatici che era possibile cacciare e per la bellezza dei paesaggi
che pian piano conobbero ed amarono. Gli
Albanesi
giunti su questi monti dopo il 1.500, hanno conservato la loro lingua
e le loro usanze stupendamente suggestive ed ispirate dal sole e dal
resto della natura vivente.
Tutti hanno
influito sulla biodiversità del
Parco. Per dare un'idea di quest'ultima affermazione riporto alcuni
dati tratti da uno studio
svolto dall'ALSIA con la
collaborazione dell'Università degli Studi della Basilicata e del
CNR di Bari. Questo studio è consistito nella ricerca
e mappatura delle risorse genetiche del settore frutticolo ed
orticolo tradizionale
all'interno del Parco. Riporto da un articolo del Professor Giovanni
FIGLIUOLO nel “2009 sono state censite 40 differenti specie di
fruttiferi per un totale di 870 biotipi in oltre 130 siti di
campionamento.” Alcuni dati: 200 biotipi di pero, 118 di melo, 102
di vite, 50 di fico, 8 di albicocco, 4 di gelso, 4 di nespolo. E' da
non dimenticare che sono stati presi in considerazione solo i
fruttiferi tradizionali. Avendo,
in piccolissima parte, collaborato
a questo studio che nel 2010 è proseguito con il rilevamento per le
culture erbacee posso affermare che ciò che è stato possibile
rilevare è solo una piccola
parte della biodiversità agricola presente in questo Parco. Riporto
dallo stesso articolo che ha per titolo: “EROSIONE GENETICA:
interventi specifici sulla gestione delle fonti di RISCHIO”. “Se
si vuole conservare “quell'albero”, o “quella specie” in
“quel posto” è necessario identificare le forze (fattori e
processi) che generano il rischio. Questo rischio va in qualche modo
gestito.” E, possibilmente, eliminato per
il futuro della vita degli uomini sul Pianeta Terra.
Dottor
Domenico BRUNO Apicoltore, Guida Ufficiale ed Operatore di
Educazione
Ambientale
del Parco Nazionale del Pollino
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