lunedì 12 marzo 2012


La Biodiversità

del Parco Nazionale del Pollino


Il Parco Nazionale del Pollino insieme ai Parchi Nazionali dell'Appennino Lucano - Val d'Agri - Lagonegrese e del Cilento – Vallo di Diano è fra la 15 aree italiane testimoni della Biodiversità che era presente in Italia e dove è ancora possibile farla comprendere, studiare e godere. Ciò è avvenuto anche perché in questo parco come negli altri due citati è ancora presente la Lontra.

I nomi di tante località del Massiccio del Pollino e dei Monti dell'Orsomarso ci testimoniano la presenza di determinati animali sino a pochi secoli fa: la Valle dell'Orso sotto la parete Nord Est di Serra di Crispo, Tuppo Vuturo (Tuppo dell'Avvoltoio), Timpa della Falconara, Monte Sparviere, Fiume Peschiera, la Fossa del Lupo a circa un terzo in basso della parete Nord Nord-Ovest di Serra Dolcedorme.


GLI ANIMALI

I Lupi sono stati sempre presenti sul Pollino, ma 30 -40 anni fa erano pochissimi e per la mancanza di prede si alimentavano alle discariche dei paesi e, d'estate, dovevano persino accontentarsi di cacciare grilli. Grazie alla sua salvaguardia, alla sensibile diminuzione dell'attività agricola e zootecnica e al consistente aumento dei cinghiali i lupi sono notevolmente aumentati di numero, vivono in branchi e sono presenti lungo quasi tutto l'Appennino.

Naturalmente nel Parco vivono e sono salvaguardati anche gli altri animali caratteristici dell'Appennino Meridionale. L'Istrice, il Gatto selvatico, il Capriolo, il Driomio meridionale, il Moscardino, il Quercino, lo Scoiattolo meridionale, la Lepre, il Tasso, la Donnola, la Faina. Questi ed altri sono i mammiferi che lasciano i segni della loro presenza facilmente individuabili se si osserva con attenzione il territorio ove vivono ed è possibile a volte vederli di giorno e spesso abbagliarli involontariamente coi fari della macchine lungo le strade dopo il tramonto e prima dell'alba.

Sono tantissime le specie di uccelli che nidificano o sono di passaggio lungo le valli o sui monti del Parco. Non sempre, ma spesso e per periodi più o meno lunghi, sopra gli ex seminativi e i pascoli dell'alta valle del Raganello è possibile vedere volteggiare maestosa l'Aquila Reale e nei pressi della cappellina di Sant'Anna di Timpa San Lorenzo è possibile anche sentire le grida degli aquilotti che chiamano i loro genitori dai nidi o imparano a volare e a farsi trasportare molto in alto nel cielo dalle correnti ascensionali. Volano, scrutano la superficie per individuare le loro prede e difendono le loro zone di limpidissimo cielo anche l'Astore, lo Sparviero, il Corvo imperiale, la Poiana, i Gheppi, il Falco Pellegrino, il Nibbio Reale e i Grifoni reimmessi dal Parco negli anni scorsi e nel giugno del 2010. Sulle barriere dei ponti che attraversano torrenti e fiumare tante Cornacchie grige. Intorno ai paesi Gazze ladre, nei boschi il Picchio verde e il Picchio Nero quest'ultimo, dalle popolazioni locali, è chiamato Becco di ferro per il tambureggiare che si sente nei boschi ove vive e per i grandi fori che riesce a compiere in brevissimo tempo. Prima del tramonto e di notte la Civetta, il Barbagianni, l'Allocco e il Gufo Reale ci fanno conoscere la loro presenza coi loro richiami e il volare sentito chiaramente ed inaspettato.

Dei rettili è necessario citare il Cervone Italiano che raggiunge persino i 250 centimetri di lunghezza, la Biscia dal collare, la Vipera comune, la Testugine palustre, le lucertole, i Ramarri e i Cechi nelle zone calde e di bassa quota.

Degli anfibi sono importanti: la Salamandrina dagli occhiali che è un indicatore biologico specialmente per quanto riguarda la salubrità delle acque ove vengono deposte le uova, la Rana italica, il Tritone italiano e il crestato e l'Ululone dal ventre giallo

I pesci che vivono nei fiumi del Parco sono: la Trota fario, il Cavedano, il Barbo, le Anguille e le Carpe.


LE PIANTE

Il simbolo del Parco Nazionale del Pollino è un albero. E' il Pino Loricato, vive anche più di mille anni, il suo tronco per crescere di un solo centimetro di raggio impiega da 3 a 15-20 anni quindi ha registrato nel suo tronco quello che è stato il clima dei territori ove vive da mille anni a questa parte, trovare la chiave di lettura di queste registrazioni non è difficile perché, grazie alle stazioni meteo presenti in alcuni comuni da più di un secolo, conosciamo il clima di quest'ultimo periodo. Durante le glaciazioni era diffuso non solo nella penisola Balcanica ma anche in quasi tutto il Sud Italia. Oggi è assediato dal faggio, non soccombe perché le sue foglie fitte e robuste difendono le sue gemme dai granuli di ghiaccio trasportate dal vento che nel mese di maggio recidono sistematicamente i nuovi germogli del faggio. In passato anche gli ovini e i caprini costringevano le pianti di faggio a rimanere cespugli.

Il Pino Loricato vive: poco sopra i 500 metri di altitudine nella Valle dell'Argentino e, in numero notevolmente maggiore, da 1500 ai 2150 metri di altitudine. Vive in zone ove il faggio non riesce a vivere, in punti impervi, lungo le creste, sulle pareti a pico, si innalza verso il cielo anche per 40 metri spesso direttamente dalla dura roccia calcarea dolomitica. Il suo vivere in popolamenti molto aperti, il suo portamento, il vento, la neve, i fulmini lo hanno reso l'albero più fotogenico e più fotografato d'Italia.

Una premessa necessaria: per quasi cento anni giganteschi tagli di bosco hanno interessato anche l'Appennino Meridionale. Sul Pollino hanno operato tante imprese boschive e, fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, anche la più grande impresa boschiva allora operante in Italia: la “Rue Pink”. Per trasportare il legname sono state costruite centinaia di Km di teleferiche, tante strade di accesso, alcuni grandi spianamenti in corrispondenza dell'arrivo e delle partenze di queste infrastrutture, decine di migliaia di piccole piazzuole per trasformare i rami in carbone; persino una ferrovia che iniziava quasi dai piedi della parete Ovest di Serra di Crispo e, dopo un primo Km di lieve salita, con una pendenza costante del 3% intorno ai 1600 m s.l.m. giungeva ai piedi della cresta Est di Serra delle Ciavole da dove una gigantesca teleferica saliva ad Ovest delle due cime della Manfriana per attraversare poi tutta la zona alta della piana di Sibari e, dopo una lunghissima discesa, scaricare il legname alla stazione delle Ferrovie dello Stato di Spezzano Albanese. Sino lì il trasporto del legname è avvenuto quasi completamente utilizzando la forza di gravità.

Nel Parco Nazionale del Pollino sono circa 1700 le specie vegetali censite, in Italia dovrebbero essere circa 6000. Gli endemismi sono molto pochi. Ciò che è inimmaginabile, stupendamente e gradevolmente sconvolgente è la straordinaria variabilità dei paesaggi che la geologia, il clima, le molteplici forme di vita e le diversità delle culture umane hanno realizzato su questi monti e in queste valli.

La vegetazione del Parco può essere schematizzata in 4 fasce. Nelle zone di bassa quota c'è la Fascia Mediterranea composta dalla Macchia Mediterranea bassa ed alta. La Macchia Mediterranea bassa è caratterizzata da circa 30 specie arbustive: Euforbia arborea, Ginestre, Cisti, Rosmarino, Erica, Alloro, Corbezzolo ed altre. Nella Macchia Mediterranea alta sono presenti pianti di Leccio, di Ginepro, di Lentisco, di Roverella, di Acero minore quasi sempre associate a diverse specie di pianti rampicanti. Queste macchie possono raggiungere anche i 6 m di altezza. Tutto questo insieme, molto vario ed estremamente complesso, specialmente per quanto riguarda le forme vegetali più semplici: erbe, fiori, muschi crea un microambiente che da riparo e nutrimento a innumerevoli insetti, anfibi ed altri animali in piccola parte già accennati all'inizio.

Per dare un esempio della straordinaria variabilità, sotto tutti gli aspetti, del territorio del Parco alcune informazioni sul Leccio. Solo nella stretta ed impervia Valle del fiume Argentino è ancora presente un piccolo bosco di lecci ove queste pianti raggiungono anche i 18 m di altezza, per la maggior parte vi sono macchie di Leccio. In situazioni particolari troviamo pianti di leccio molto al di sopra della fascia mediterranea come sulla Timpa di San Lorenzo, di Cassano e di Porace e persino in cima a un lastrone di ghiaia di cuscini di lava cementata da calcite sotto il livello del mare e che adesso si trova di fronte ai tanti cuscini di lava di Timpa delle Murge a 1300 m s.l.m. Ai confini occidentali del Parco (preso S. Domenica di Talao) il Leccio si mischia e in parte viene sostituito dalla Sughera che necessita di ambienti più umidi.


La fascia Sopramediterranea ha come quota di riferimento dai 700 ai 1100 m. s.l.m. ed è caratterizzata da una serie di boschi denominati col nome delle specie dominanti:

  • Boschi a Roverella, nelle zone più basse e ben esposte al sole con l'Asparago selvatico, l'Erica arborea e il Camedrio siciliano nel sottobosco;
  • Boschi a Cerro nelle zone più alte e ad occidente, nel sottobosco troviamo non solo specie che amano il caldo ma anche specie che amano le medie temperature quali:la Digitale appenninica, il Pisello veneziano, l'Erba limone;
  • Boschi a Farnetto per lo più misti con Roverella e Cerri eccetto che nei pressi di Plataci ove è nettamente dominante il Farnetto;
  • Boschi misti in cui oltre alle querce vi sono associate e, a volte, risultano anche dominanti: l'Acero d'Ungheria, l'Orniello, l'Ontano napoletano, il Castagno, il Carpino nero e bianco e l'Agrifoglio;
  • Boschi degradati principalmente per il taglio eccessivo che potremmo chiamare anche arbusteti in cui con fatica sopravvivono esemplari dei vecchi boschi con: Prugne, Meli e Peri selvatici, Rose canine, Biancospino comune e la Ginestra dei carbonai nelle zone più basse e la Ginestra odorosa in quelle più alte.

Nelle aree asciutte e assolate di questi boschi e nei terreni poveri e rocciosi, non riuscendo a crescerci gli alberi troviamo, oltre ad alcune specie della Fascia Mediterranea anche: il Trifoglio giallo delle sabbie, il Camedrio montano, la Radichiella laziale, la Lavanda e la Salvia officinale, il Timo bratteato e il Timo serpillo che oltre a vivere in terreni poverissimi, vive dalla pianura alle cime più alte del Parco.

La Fascia Montana da 1100 sino ai 2000 metri di altitudine è caratterizzata da grandi boschi di Faggio. Nei boschi esposti a Nord specialmente nel versante lucano del Parco, in passato, il Faggio era associato all'Abete bianco.. Oggi questa associazione è presente principalmente nei boschi di alta quota di Terranova di Pollino, e cosa veramente eccezionale, si trova anche nel Bosco Vaccarizzo a 700 metri di quota nel comune di Carbone. In situazioni particolari, zone molto fresche, il faggio vive a quote ancora più basse. Nelle faggete esposte a Sud e sotto i 1400 m il Faggio vive con l'Agrifoglio. Nelle grandi piazzuole dei disboscamenti e nelle zone più pietrose è stato sostituito con Sorbi montani e degli uccellatori e Maggiociondoli. Nei boschi Cugno dell'Acero e Cugno Cumone di Terranova di Pollino fra i Faggi e gli Abeti Bianchi vi sono piccoli nuclei di Pioppi tremoli e pianti di Tasso.

E' certamente uno straordinario primato forestale ciò che è possibile osservare intorno a Lagoforano nel territorio dei comuni di Terranova di Pollino, Alessandria del Carretto e Plataci. Nel raggio di un Km vivono i resti dei boschi di Vallo Nero, Francomano, Vallone della Tupara e di Lagoforano, Qui sei tipi di Aceri: l'opalo, il minore, il campestre, il lobato, lo pseudoplatano e il platanoide, quasi tutti i tipi di Querce, molti degli alberi citati in precedenza, Faggi e, nella zona alta di Vallo Nero, confinante a tutto questo vivono anche Abeti bianchi!

La Fascia Altomontana solo indicativamente dai 2000 metri di quota alle cime più alte. Questa fascia ha la sua maggiore espressione nei Piani di Pollino. Una grandissima conca che nelle Glaciazioni precedenti le due ultime, con grande probabilità, era il bacino collettore del ghiacciaio che da Serra delle Ciavole, Dolcedorme e monte Pollino copriva la zona più alta della Valle del Frido. Questa grande conca è stata un pochino approfondita da fenomeni carsici e molto riempita dai detriti scesi da questi tre rilievi.

Sono 3 i Piani del Pollino: la Piana del Pollino a una quota di 1950 m, il Piano Toscano e il Piano di Pollino con il punto più basso a 1774 m. ove l'inghiottitoio ai piedi della parete Ovest-Nordovest del Dolcedorme succhia tutta l'acqua superficiale che vi giunge, La Piana del Pollino è delimitata dai due piani sottostanti da un interessante filare non continuo di Pini Loricati su tratti molto ripidi, seguiti poi da piccoli avvallamenti e collinette che degradano dolcemente verso il basso. Il Piano Toscano e il Piano di Pollino sono separati da collinette formate da detriti glaciali e alcuni massi erratici. Nel Piano di Pollino convergono alcuni canali di deflusso delle acque superficiali che hanno tagliato in più punti le due ultime morene frontali dei due ultimi ghiacciai. Il suolo trasportato da questi canali e la vegetazione compatta e ricca, pian piano ricoprirà queste due serie di archi di detriti glaciali perfettamente paralleli e di fronte alla parete Ovest-Nordovest del Dolcedorme. Su questa parete sono ancora evidenti le forme tipiche di un ghiacciaio: addossata alla parte non ricoperta da vegetazione arborea e ove i faggi hanno portamento arbustivo vi era il nevaio, quasi al centro della Fossa del lupo: l'ombelico del ghiacciaio e il bordo di questa fossa (adesso ricoperto da una folta faggeta) era la soglia glaciale. Questa parete è attraversata, in diagonale, da uno spettacolare sentiero che fra piccoli e fitti faggi ci permette di osservare dall'alto i Piani di Pollino e ciò che li circonda.

I Piani di Pollino sono circondati: dalla parete Nord-Est del Monte Pollino (2248 m.) con una evidentissima nicchia glaciale e, alla base, una fittissima faggetina, dalla parete del Dolcedorme (2267 m.) di cui si è detto e dalla parete Sud-Ovest ed Ovest di Serra delle Ciavole (2127 m.) con tanti Pini Loricati, piccoli, millenari e secchi; a fianco a questa verso Nord la Grande Porta del Pollino e Serra di Crispo (2153 m.) che per le rocce calcaree scolpite dagli agenti fisici e biologici, le innumerevoli erbe, i tantissimi fiori dai colori e dalle forme straordinarie, i panorami mozzafiato e i Pini Loricati alcuni decenni fa è stata rinominata il Giardino degli dei, è il massimo di ciò che poteva capitare sui Monti di Apollo!

Ho descritto un pò i Piani di Pollino principalmente per far intuire quanta biodiversità floristica, faunistica ed antropica esista nel Pollino. Le erbe e i fiori presenti in questa fascia altomontana sono tantissime. Convivono, anche a pochissimi metri di distanza: popolamenti altomontani appenninici, essenze mediterranee, specie sopravvissute ai periodi glaciali ed erbe seminate con le feci dagli animali che ogni inizio d'estate sono venuti a pascolare su questi monti. “Erbe” che amano l'acqua con erbe che riescono a vivere in posti incredibilmente aridi e freschi o caldissimi a seconda se è pomeriggio o mattino presto come la Linajola purpurea, il Dripide comune e il Laserpizio erba nocitola che vivono nei ghiaioni come quelli ai piedi della nicchia glaciale del Pollino e

della cresta Est di Serra di Crispo. Erbe-fiori che amano il suolo umido e ricco di umus come l'Erba vaniglia, l'Achillea millefoglie, il Trfoglio pratense, la Genziana maggiore, l'Asfodelo montano del Pollino e molte altre ed erbe-fiori che riescono a vivere nelle zone più inospitali come sono quasi tutte le creste, ma anche singoli massi calcarei magari in mezzo a un ricco prato e pendii particolarmente scoscesi ove vivono: il Semprevivo dei tetti, la Campanula del Pollino e la napoletana, la Cinquefoglie penzula ed altre ancora.

L'unico Lupo visto da me, l'ho visto in questi Piani, acchiappava i grilli che saltavano dall'erba che lui muoveva con il muso.

La Biodiversità nel Parco

determinata dalle attività umane

Tanti uomini e donne sono venuti nel corso degli ultimi millenni, degli ultimi secoli e degli ultimi anni (purtroppo molti giovani sono costretti a partire!?) a vivere sulle pendici e lungo le valli dei monti del Parco. Gruppi di cacciatori-raccoglitori che hanno frequentato il Riparo del Romito nel comune di Papasidero da 20.000 a 10.000 anni fa, proprio durante le ultime glaciazioni, hanno inciso un bovide e parte del suo piccolo su un lastrone di roccia. I Greci 2.500 anni fa dedicarono questi monti ad Apollo dio della luce, della medicina, della caccia e di tutte le cose belle perché i monti del Parco li avevano salutarmente sconvolti: per le cime splendenti di neve in inverno e primavera, per le tantissime erbe medicinali di cui il Pollino era ed è ricchissimo, per il gran numero di animali selvatici che era possibile cacciare e per la bellezza dei paesaggi che pian piano conobbero ed amarono. Gli Albanesi giunti su questi monti dopo il 1.500, hanno conservato la loro lingua e le loro usanze stupendamente suggestive ed ispirate dal sole e dal resto della natura vivente.

Tutti hanno influito sulla biodiversità del Parco. Per dare un'idea di quest'ultima affermazione riporto alcuni dati tratti da uno studio svolto dall'ALSIA con la collaborazione dell'Università degli Studi della Basilicata e del CNR di Bari. Questo studio è consistito nella ricerca e mappatura delle risorse genetiche del settore frutticolo ed orticolo tradizionale all'interno del Parco. Riporto da un articolo del Professor Giovanni FIGLIUOLO nel “2009 sono state censite 40 differenti specie di fruttiferi per un totale di 870 biotipi in oltre 130 siti di campionamento.” Alcuni dati: 200 biotipi di pero, 118 di melo, 102 di vite, 50 di fico, 8 di albicocco, 4 di gelso, 4 di nespolo. E' da non dimenticare che sono stati presi in considerazione solo i fruttiferi tradizionali. Avendo, in piccolissima parte, collaborato a questo studio che nel 2010 è proseguito con il rilevamento per le culture erbacee posso affermare che ciò che è stato possibile rilevare è solo una piccola parte della biodiversità agricola presente in questo Parco. Riporto dallo stesso articolo che ha per titolo: “EROSIONE GENETICA: interventi specifici sulla gestione delle fonti di RISCHIO”. “Se si vuole conservare “quell'albero”, o “quella specie” in “quel posto” è necessario identificare le forze (fattori e processi) che generano il rischio. Questo rischio va in qualche modo gestito.” E, possibilmente, eliminato per il futuro della vita degli uomini sul Pianeta Terra.


Dottor Domenico BRUNO Apicoltore, Guida Ufficiale ed Operatore di Educazione
           Ambientale del Parco Nazionale del Pollino 

                                   

Nessun commento:

Posta un commento